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giovedì 1 settembre 2011

Steve Jobs e il Personal Branding


Nei giorni scorsi Steve Jobs si è dimesso dal ruolo di amministratore delegato di Apple.
In molti si sono domandati quale sarà il futuro dell’azienda senza Jobs al comando, temendo un immediato crollo delle azioni in Borsa ed evidenziando come nell’immaginario collettivo le sorti di Jobs siano inscindibili da quelle di Apple.
Il caso di Steve Jobs e Apple è in effetti più unico che raro: non ci sono aziende tecnologiche di queste dimensioni – Apple è una multinazionale da 50.000 dipendenti – dove il creatore si identifica così fortemente con la sua creatura.
Per esempio, in pochi sanno che HP è stata fondata in uno storico garage di Palo Alto da Bill Hewlett and Dave Packard, ed è diventata un colosso da più di 300.000 dipendenti anche senza l’occhio vigile dei suoi fondatori (ormai deceduti da tempo).
E chi conosce i nomi dei fondatori di Intel? o dell’attuale CEO? eppure parliamo del leader mondiale dei semiconduttori, una società che ha infilato un processore in praticamente tutti i computer del pianeta ed in grado di macinare miliardi di dollari all’anno di fatturato (nonché di utile).
Parlando di aziende stranote sul web, scommetto che i 2 fondatori di Yahoo! – Jerry Yang e David Filo – sono sconosciuti ai più, e credo che nemmeno Larry Page e Sergey Brin (i 2 founder di Google) siano noti e identificabili dal grande pubblico (guardati questi impietoso confronto fra i 3 effettuato con Google Statistiche di ricerca):
Steve Jobs vs. Larry Page vs. Sergey Brin


Steve Jobs, insomma, è un brand noto almeno quanto quello della sua Apple, con tutti i rischi che da ciò ne derivano.
Credo infatti che un brand personale smisurato ha senso solo se l’obiettivo della persona è quello di vendere se stesso: attori, cantanti, personaggi dello spettacolo, è giusto che puntino principalmente all’accrescimento del loro brand perché è con la loro persona che lavorano e guadagnano; la persona, insomma, è il prodotto.
Ma quando la persona guida una azienda che deve potenzialmente durare “in eterno”, è bene che pensi alla logica della squadra di calcio: una compagine costituita da un assoluto fuoriclasse in grado di trascinare il gruppo, ma anche da alcuni talenti e tanti bravi portatori di palla che dalle seconde linee lavorano in silenzio, con tenacia e senza clamore, per portare l’intero team al successo.
Perché il vero tifoso, da che mondo è mondo, per tutta la vita continua a tifare per la stessa squadra, anche se questa attraversa periodi bui, anche se questa perde e scende in serie B. Prima si tifa la squadra, poi i singoli giocatori che la compongono, che nel tempo possono cambiare e passare ad altre squadre.
Ma non si cambia squadra solo perché il fuoriclasse passa dall’una all’altra, o magari si ritira per raggiunti limiti di età. 

Che ne pensate? Dal Tagliablob

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